Il razzismo nuoce gravemente alla salute

Una meta-analisi messa a punto da Yin Paradeies della Deakin University di Melbourne, assieme ad altri studiosi australiani ed americani, mette in evidenza, dati alla mano, come il razzismo sia significativamente relato ad una scarsa salute mentale e fisica.
Ma partiamo dai rudimenti. Il razzismo può essere definito come un sistema organizzato all’interno della società che causa disuguaglianze in potere, risorse, capacità e opportunità tra gruppi etnici diversi. Il razzismo è retto da credenze, stereotipi, pregiudizi e si manifesta nella discriminazione, che include fenomeni che vanno dagli insulti alle minacce personali.

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È possibile descrivere il razzismo su più livelli: un razzismo internalizzato (la presenza di attitudini, credenze e ideologie razziste nella visione del mondo del soggetto), un razzismo interpersonale (che si manifesta nelle interazioni sociali) e un razzismo sistemico (rappresentato dalle limitazioni imposte dalla società o direttamente dalla legge). I dati attuali non solo ci dicono che esclusioni, conflitti e svantaggi sono causati ancora oggi dal razzismo in tutto il mondo, ma anche che questo dato è in crescita in molti contesti nazionali. E l’Italia di certo non sfugge a questo trend.

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Come può il razzismo impattare sulla salute delle persone? Sono state riconosciute diverse pathways:

  • ridotto accesso al lavoro, ad una abitazione e all’istruzione;
  • aumentata esposizione a fattori di rischio;
  • processi cognitivi ed emozionali dannosi con la psicopatologia ad essi associati;
  • riduzione dei comportamenti salutari (sonno, esercizio fisico, etc.);
  • aumento dei comportamenti nocivi (consumo di alcol, per esempio), sia come strategia di coping che per ridotto controllo di sè;
  • traumi fisici legati a violenza perpetrata per motivi razziali.

Questa meta-analisi ha rivisto la letteratura scientifica focalizzandosi sui lavori di ricerca che hanno considerato il “reported racism” – il razzismo riportato dai soggetti coinvolti negli studi, misurato mediante scale specifiche come la Schedule of Racist Events (SRE), la Racism and Life Experience Scales (RaLES), la Experience of Discrimination (EOD), la Perceived Racism Scale (PRS) e altre – ed il suo outcome sulla salute fisica e mentale. In particolare, le conseguenze sulla salute sono state inquadrate nell’ambito di:

  • salute mentale negativa (depressione, ansia, stress psicologico, affettività negativa, stress post-traumatico e disturbo da stress post-traumatico (PTSD), somatizzazione, internalizzazione, ideazione suicidaria e tentativi di suicidio, ideazione paranoide, psicoticismo, benessere mentale generale);
  • salute mentale positiva (autostima, soddisfazione personale, benessere);
  • salute fisica (pressione arteriosa, ipertensione, sovrappeso, patologie cardiache, diabete, ipercolesterolemia, e altre misure complesse di patologie);
  • stato di salute generale.

Gli studi hanno coinvolto gruppi etnici americani (di origine africana, asiatica, europea, nativi americani) nati in USA o all’estero.

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Le analisi statistiche hanno messo in evidenza una relazione particolarmente significativa tra razzismo e gli outcome descritti nell’insieme ‘salute mentale negativa’ (depressione, ansia, PTSD, etc), indicando come il razzismo sia correlato a questi disturbi. La depressione è la condizione maggiormente valutata nei diversi studi e  la sua relazione col razzismo è documentata in maniera robusta. Inoltre, è presente anche una relazione negativa tra razzismo e salute mentale positiva e tra razzismo e stato di salute generale.
Relazioni statisticamente significative sono presenti tra razzismo ed il sovrappeso (e i disturbi ad esso correlato) e tra razzismo e le misure complesse di patologie.
Complessivamente, questa meta-analisi indica che il razzismo è significativamente relato ad una salute precaria, sia mentale che fisica.
L’esposizione cronica al razzismo potrebbe essere implicata in una disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che, in letteratura, è stata associata al disturbo depressivo maggiore così come a disturbi cardiovascolari e, infine, all’obesità.

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L’ipervigilianza e la ruminazione, conseguenze del contesto razzista, possono rappresentare la manifestazione di cambiamenti neurobiologici in atto e sono probabili fattori di rischio dello stato di malattia mentale e cardiovascolare.

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Lo studio in questione attira oggi l’attenzione nel momento storico in cui ci troviamo. Il contesto sociopolitico che si va delineando necessita di una netta e chiara presa di posizione del mondo legato all’aiuto, compreso quindi il mondo medico e scientifico. Un razzismo subdolo e molto paraculo (sorry) pare aver solcato la soglia tra potenza ed atto ed è servito sulle tavole della nostra quotidianità, prima documentato dai reporter d’oltreoceano negli States, oggi a casa nostra in un pensiero mainstream imbruttito e grottesco. Apparenti ragioni di politica migratoria ed economica sembrano rappresentare il filtro attraverso il quale l’uomo non vale più niente se non una pedina tra i migliaia di disperati alla ricerca di una esistenza degna, da ricollocare lontano da casa, perchè, la verità è questa, ci siamo scocciati di vedere tanti neri in giro per le nostre strade. Non si può smettere di considerare l’uomo il fine, e non il mezzo come accaduto in una tragicomica trattativa politica che ha coinvolto la nave Diciotti in questi giorni. Conoscere questa metanalisi non farà certamente la differenza nel riconoscersi nello sguardo di una persona in difficoltà. Se il razzismo nuoce gravemente alla salute lo ha dimostrato, in maniera straordinariamente evidence based, Hitler con la Shoah, per citare il genocidio più noto. E se non uccide, il razzismo danneggia le persone psicologicamente, e non solo i target di colore diverso, ma anche i carnefici, danneggia il tessuto sociale. La disgregazione ci rende soli, impauriti, più violenti, belligeranti. L’augurio di chi vi scrive è che questo periodo di regresso culturale non sia che la rincorsa per un futuro vicino di grande pace e innovazione su più fronti. Noi, nel frattempo, prendiamo posizione.

dott. Angelantonio Tavella

Fonte: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4580597/

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